Tempio Pausania, 22 settembre 2014-
Un mese fa circa ho incontrato Giuseppe, fondatore dell’Accademia Popolare Gavino Gabriel. Come sempre abbiamo parlato molto del suo lavoro, quello di un instancabile operatore culturale che da una vita si batte per la sua città e le sue tradizioni più belle. Con Giuseppe si chiacchiera sempre molto, a volte troppo, preso com’è da vicende umane che lo hanno visto sempre in trincea, armato sino ai denti di propositi veri e sinceramente condivisibili. Resta un mistero il fatto che alcune cose che gli sono successe siano ascrivibili al suo carattere, come spesso gli si dice, o al suo continuo martellamento sugli stessi argomenti di sempre, il patrimonio del sommo musicologo tempiese Gavino Gabriel. Nell’intervista che gli ho fatto e che potete anche rivedere su questo sito, Giuseppe mi ha parlato di tante cose che lo riguardano. Quando il discorso si è accentrato sulla immensa eredità ricevuta dalla famiglia Gabriel, ossia lettere, scritti e ogni altro lavoro del grande tempiese, i suoi occhi si sono accesi. Gabriel era diventato suo padre, suo nonno, lo zio preferito. Una vita spesa per questo personaggio che Tempio pareva aver scordato e che lui continuava a mettere in risalto rivendicandone conoscenza, patrimonio e tutta la sua eredità. In fondo ha chiesto a questa amministrazione, ma anche alle precedenti, uno spazio fisico per custodire quanto possiede. Il suo sarebbe un regalo alla città.

Dall’altra parte della trincea gli altri, il Coro Gabriel, l’altra realtà di Tempio, apprezzati e forse anche più noti. Non scrivo per sottolineare che questi o gli altri siano più bravi o meritano di più. Scrivo per lanciare una proposta che i due cori interessati già conoscono, ossia provare a decifrare i dissidi che l’uno porta all’altro e appianarne i contenuti bellicosi. Le carte bollate ci sono state, le denunce lo stesso. Esiste anche una sentenza del tribunale che ha dato ragione ai secondi, adducendo come motivazione il fatto che un nome non attribuisce paternità a nessuno. Come dire, una banda musicale si può chiamare Giuseppe Verdi senza andare a chiedere il permesso agli eredi del Cigno di Busseto. La qualcosa non fa una piega.

Tuttavia, in un convegno imminente, il 30 settembre al Teatro del Carmine, si accenderanno i riflettori sulla figura di Gavino Gabriel. Un progetto di una giornalista di Cagliari, Graziella Marchi, ha permesso al Coro Gabriel di incidere un disco, IDULA, che già è stato annunciato in una conferenza stampa all‘Ufficio Turistico un mese fa.
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Questo fatto, unito al portone sbattuto in faccia a Giuseppe qualche tempo fa su una intenzione simile, e nonostante l’apparente ritorno alla normalità nella serata delle celebrazioni del 28 luglio, sempre al Teatro del Carmine, quando i due cori per la prima volta sono stati entrambi chiamati ad esibirsi (ricordiamo che Giuseppe è uno dei sopravvissuti al rogo del 1983 e che ne porta addosso le ferite), ha esacerbato l’animo di Giuseppe che non vuole che questa giornata dedicata a Gavino Gabriel venga svolta.
Le due parti, da me interpellate per un incontro, che spero non sia un ring, hanno chiesto del tempo. Esistono vicende ancora in itinere che non possono dare libertà a nessuna delle due di parlare davanti ad una telecamera. Separatamente, Giuseppe ha già parzialmente espresso il suo parere. Gli altri non sono ancora stati chiamati in causa. Per me è solo questione di tempo. A breve spero di poterlo fare. Loro sanno che per entrambi nutro la medesima considerazione vantandone anche l’amicizia e con Marco anche il “comparato”.
Il mio intento, qualora non si sia capito, è solo uno. Vorrei che queste due belle risorse di questa città, che naviga a vista e che attraverso questi artisti può riprendersi il ruolo di città di cultura e di tradizioni solide e riconosciute in Sardegna e non solo, possano guardarsi in faccia e rispettarsi, provando a rastrellare dal loro animo quelle emozioni che mettono in scena, quando cantano e lo fanno bene, quando esprimono armonia e melodie che commuovono. Che il tempo passato a guardarsi in cagnesco, o aspettando la cosiddetta giustizia, sia utilizzato per trovare almeno una reciproca stima!
E non ascoltate le sirene di un lato o dell’altro. le sirene incantano e ci fanno scordare che essere “persone”, “uomini”, non vuol dire sempre farsi la guerra.
“La gherra, si sa no polta a nudda, a cà paldi, a cà vinci, solu fiori di cjudda”