Tempio Pausania, 22 gen. 2016-
“I pensieri sono parole non dette, grazie a pensieri e parole i nostri pensieri prendono forma e diventano parole”. Questa frase, non mia, è un po’ il punto di partenza per un’altra riflessione sulla moderna società civile, quella dove viviamo tutti, volenti e/o nolenti. La società attuale è omologante, fa respirare a quasi tutti la stessa aria, fa ragionare quasi tutti allo stesso modo e fa parlare, quasi tutti, con le stesse parole. Pensieri che diventano, in automatico, parole, quasi sempre le stesse. Appare difficile muoversi in questa giungla aberrante di modello sociale, perché quando non sentiamo di essere omologati, lo stiamo già di fatto pensando e quindi vi apparteniamo.
Una specie di compromesso, dove i giocatori in campo, pur appartenendo a squadre diverse, si affrontano per lo stesso risultato, la sopravvivenza. Immagino la vita che faccio come un viaggio dove, pur non sentendomi omologabile, di fatto ne accetto le regole proprio perché in gioco ci sta la mia stessa esistenza. A che serve la mia ribellione, la tua, la vostra, quella di altri, se alla fine affondiamo nella melma che ricopre tutto? A poco, a nulla. il compito appare arduo se iniziamo a pensare in contrasto col pensiero globalizzante. Si rischia di essere soli, e spesso il prezzo che paghiamo non vale proprio il tempo perduto a rincorrere quello spazietto di agognata felicità a cui tutti, nessuno escluso, puntiamo.
Allora si combatte la solitudine, una vera piaga che dilania il cervello se mal supportata da serenità e consapevole coscienza. A tutti gli effetti, siamo animali sociali, anche chi pensa di essere “lone wolf” e ripone l’altrui compagnia nel cesso. Si nasce per vivere in comunità e i guai iniziano quando ci si ispira ad un modello che non viene riconosciuto accettabile dalla massa. Preciso, perché forse c’è bisogno di farlo, che non amo la vita solitaria ma rifuggo, per quanto posso, i compromessi schifosi, quelli che valgono come 100.000 caffè bevuti e mi farebbero perdere sonno e cervello.
Tuttavia, spesso mi sento additato, deriso e profanato nella mia onestà intellettuale, quando mi si vuole appiccicare, per forza, una qualsiasi etichetta. Credo di essere una persona buona, certo non scaltra ed opportunista, ma mai una sola volta mi sono sentito padreterno o quel Dio in croce, carnefice o vittima. Più vado avanti in questa vita, in questo tortuoso viaggio tra convenevoli e adattamenti, e più mi convinco che qualsiasi voce contro, la trasformo magicamente in energia e vitalità. Più vado avanti e più sono certo che ciò che faccio, scrivo, penso, dico, non è presunzione o arroganza, ma la mia voce, quello che è il mio animo e la mia incapacità ad accettare, almeno nel comportamento di vita, una cosa che mi provoca dolore e nausea.
Ho in mente una vecchia canzone di Vecchioni, Figlia, una invocazione del cantante alla figlia, bellissimo testo. Tra le righe di quella poesia, ho apprezzato queste parole. La vittoria del confronto tra chi prova a combattere il sistema a modo suo, e chi invece si nutre famelico dello stesso, consiste nell’accettazione. Avremo sempre al nostro fianco qualcuno che sarà alleato, qualcuno che ci metterà il bastone tra le ruote e chi, pensando di essere 2 e non 1 nella società in cui vive, proverà a schiacciarci.
E i sogni, i sogni,
i sogni vengono dal mare,
per tutti quelli
che han sempre scelto di sbagliare,
perché, perché vincere significa “accettare”
se arrivo vuol dire che
a “qualcuno può servire,
e questo, lo dovessi mai fare,
tu, questo, non me lo perdonare.
(Figlia, di Roberto vecchioni)
E ci proveranno a modificare le parole, e ci sguazzeranno nella maldicenza e nella volgarità, e continueranno a perseguitare il nostro ego pulito e limpido. Non facciamoci intimidire dai detrattori. Essi sono e saranno sempre il motivo fondamentale per continuare ad andare avanti. Forse inseguendo un sogno, forse rincorrendo il nostro istinto, forse semplicemente vivendo la vita che abbiamo scelto.
Antonio Masoni